Sono ormai quasi 50 anni che esiste la teoria delle 4P di Jerome McCarthy: Product (prodotto), Price (prezzo), Place (distribuzione) e Promotion (comunicazione) quali variabili controllabili (leve decisionali) del marketing mix che le imprese adottano per raggiungere i propri obiettivi. Ma oggi i circuiti di distribuzione non sono certo più gli stessi: il web con il commercio on line ed i social media hanno davvero cambiato il mercato, e le abitudini dei consumatori.
L’ultimo rapporto Forrester su questo argomento è interessante: definisce infatti le basi dell’Adaptive Brand Marketing riassumendo il contesto e le motivazioni che dovrebbero spingere un brand a rivedere le proprie strategie:
- Frammentazione dei media, con conseguente diminuzione del raggiungimento degli obiettivi (impossibile garantire l’efficacia di uno stesso messaggio diffuso in una moltitudine di nano-media);
- Disequilibrio tra i mezzi destinati al trade marketing (tecniche di marketing indirizzate al distributore piuttosto che al consumatore finale, il 70% del budget totale per alcuni marchi) rispetto a quelli destinati al brand marketing (per valorizzare il marchio o l’immagine dei prodotti);
- Perverse conseguenze di politiche di conquista e di fidelizzazione unicamente basate sulle promozioni e sui prezzi al ribasso …
Insomma: il contesto non è certo favorevole, e sono poche le aziende che riescono a differenziarsi dalla massa facendo leva sul proprio stesso marchio piuttosto che sul prezzo. Ecco un grafico che lo dimostra: nell’elenco delle motivazioni all’acquisto di ‘veri individui’ (e non di geeks) la promozione è infatti il terzo argomento più impattante, prima della fiducia nel marchio e ben prima dei consigli di amici o familiari.
Aggiungete a questo il fatto che nei social media il marchio esiste solo a… lato del contenuto (social ads in un profilo, o banner nella colonna laterale di un blog) e avrete esperti di marketing davvero disarmati di fronte ad una nuova generazione di consumatori ben evoluti rispetto all’epoca in cui era sufficiente sommergerli di pubblicità per invogliarli all’acquisto di un prodotto.
L’idea di base dell’Adaptive Brand Marketing è quindi quella di adottare un approccio più “agile”, privilegiando in primo luogo l’immagine del marchio piuttosto che le vendite nel breve termine (“A flexible approach in which marketers respond quickly to their environment to align consumer and brand goals and maximize return on brand equity“). Si tratta quindi di saper aggiustare le strategie e le tattiche in campo in funzione del ritorno immediato (nel real-time-web ): in termini di social marketing infatti non ci sono certezze, ma solo molte sperimentazioni. Secondo l’autore la prima cosa da fare quindi sarebbe quella di abbandonare l’idea di avere un “brand manager”, sostituendolo invece con un “brand advocate”: un consiglio davvero improntato al buon senso, dato che nei social media il vostro marchio non vi appartiene più ma è tributario di ciò che gli altri ne pensano/dicono. Un atteggiamento aperto al confronto ed all’argomentazione è quindi certo più adatto rispetto a pose… “dittatoriali” (“impongo la visione del direttore marketing a colpi di campagne TV e manifesti pubblicitari…”).
Ed ecco come l’autore propone di riciclare le 4P del marketing tradizionale nelle 4P del social marketing:
- Permission (permesso), perchè è necessario farsi accettare per entrare a far parte delle discussioni e coinvolgere individui o gruppi (da tener presente che si ha a che fare con “profili”, non con clienti “fisici”) su tematiche che spingano il nostro band;
- Proximity (prossimità), perchè ci si deve adattare alle specifiche “locali” (servizi, toni, usi e costumi…) per colpire in modo efficace ma certo più sottile, invece di “irradiare” un messaggio generico, valido su più mercati ma decisamente inefficace nel contesto;
- Perception (percezione), perchè nei social media bisogna sapersi accontentare di quello che gli utilizzatori decidono di mostrare di se stessi (sui profili o tramite i meccanismi si autentificazione come Facebook Connect) e riuscie;
- Partecipation (partecipazione), perchè i clienti/prospects sono invitati non certo a prendere il controllo delle azioni, ma ad esprimersi riguardo ai loro bisogni o ai loro desideri di eventuale sviluppo.
Ecco quindi un quadro formale sul quale è certo interessante lavorare: significativo il fatto che nei social media non avete a che fare con “consumatori” (come in un supermercato…) ma con avatars di consumatori, che cercano in primo luogo di valorizzarsi attraverso un’immagine ed un quotidiano… ottimizzato e magari … idealizzato (racconteranno solo ciò che è interessante, pubblicheranno solo le foto più belle…). Insomma: i social media usati dai consumatori servono innanzi tutto a valorizzare il loro ego e a consentirgli di… brillare socialmente.
La domanda da porsi allora è: la vostra campagna, gli consentirà di amplificare ulteriormente questi due obiettivi? Valorizzerà ancor più il loro ego e gli garantirà lustro nell’universo virtuale? Quindi, rifletteteci bene, prima di … improvvisare un’operazione di buzz …
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